Il legame fra un vino ed il territorio in cui viene prodotto di norma è sempre molto stretto. Ma diventa inscindibile, e a volte indistinguibile, quando il nome del vino è anche il nome della zona stessa di produzione. Esempi ce ne sono molti, spesso vincenti. In cui questo legame a doppio filo porta benefici reciproci: da una parte innalza la notorietà del vino, dall’altra sviluppa una sorta di traino turistico, dovuto principalmente proprio alla presenza dei produttori. Non deve stupire, quindi, la scelta del Consorzio di Tutela del Prosecco, che con l’acquisizione della prestigiosa Docg di quest’estate, ha deciso di puntare non più sul nome del vitigno “prosecco” (che fra l’altro è stato riportato all’antica denominazione “glera”), ma su quello del territorio. Facendo nascere il “Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore”, come comparirà sulle nuove bottiglie con la fascetta della Docg. Per capire meglio a quali strategie, a quali percezioni, a quali scelte commerciali e promozionali posta una decisione del genere, abbiamo voluto sentire la voce di quattro vini “storici”, in cui questo legame fra vino e territorio è ormai di lunga data: il Marsala, il Chianti, l’Asti e lo Champagne. Buona lettura.
TOMMASO MAGGIO
Presidente Consorzio Tutela del Vino Marsala
Il 70% delle persone identifica ormai il Marsala solo come un vino
“Il nome Marsala esiste praticamente da sempre, come “vino di Marsala” o “vinoso di Marsala”. Ma la sua notorietà inizia sul finire del Settecento, quando venne scoperto e lanciato dagli inglesi, che scelsero di chiamarlo definitivamente solo “Marsala” per poterlo identificare in modo univoco e diverso rispetto al altri vini simili. La scelta si rivelò azzeccata, visto che quando il Marsala divenne un prodotto industriale, si preferì mantenere quel nome anche per evitare copiature e imitazioni. Un’ulteriore conferma del legame col territorio venne dal fatto che fummo addirittura antesignani dei primi disciplinari nel 1931, che regolamentò la “Delimitazione del territorio di produzione del vino tipico di Marsala”, quella che poi con la legge del istitutiva del ‘63 sarebbe stata chiamata Doc, cioè denominazione d’origine controllata. Dall’84, grazie alla ritrovata volontà unanime dei produttori più rigorosi, il Marsala ha anche una Legge tutta sua: la “Nuova disciplina del vino Marsala”. Da una recente ricerca di Astra-Demoskopea, è emerso che il 70% delle persone sopra il 18 anni conosce la parola “marsala” e la identifica come un vino, più che un territorio. Direi, quindi, che il legame fra vino e territorio si è espresso a favore del primo, come conoscenza e notorietà, donando un elevato valore aggiunto ad un prodotto, cioè un vino liquoroso, per il quale non è facile oggi entrare nei mercati. Le ripercussioni di questa notorietà verso il territorio sono indubbie, anche se le strutture ricettive non sempre sono all’altezza a sostenere questo slancio. Le aziende del Marsala possono vantare annualmente un numero stimabile in 50 mila visitatori, quindi sicuramente il nostro prodotto è anche un veicolo di propaganda per un territorio che già di suo è bellissimo e tutto da visitare, grazie anche al richiamo di avere a disposizione un buon vino. Anche la nostra strada del vino, in questo senso, andrebbe un po’ sfruttata meglio, come avviene in altre importanti realtà vinicole. Da questo punto di vista devo dire che la politica promozionale è venuta soprattutto da parte delle grandi aziende, quindi dai singoli. Solo negli ultimi anni si è puntato su attività di marketing più istituzionali. Si sta tentando anche di cambiare l’approccio al consumo, proponendo il Marsala non solo come vino da dessert, ma, nella qualità “vergine”, come aperitivo. Volgiamo rimarcare il fatto che il Marsala è sì antico come tecnica di produzione, ma giovane come gusto e può quindi anche rivolgersi ad un pubblico diverso”.
PAOLO RICAGNO
Presidente Consorzio per la Tutela dell’Asti
I nostro territorio rappresenta un valore aggiunto per il vino, in un rapporto indissolubile
“Il Consorzio per la tutela dell’Asti si costituisce ufficialmente il 17 dicembre 1932 e nel 1934 viene riconosciuto. La sua opera iniziale è quella di far vinificare sotto la sola denominazione di Asti il vino tutelato, di definire la zona di origine, che corrisponde a quella attuale delimitata dal Disciplinare di Produzione, il vitigno, la tecnica di preparazione e la tipologia finale. Il patrono di Asti, San Secondo a cavallo, diventa il logo del Consorzio e la prima immagine di tipicità e garanzia negli anni del secondo dopoguerra. Dai due milioni di bottiglie dell’immediato dopoguerra, la produzione aumenta gradualmente fino a raggiungere negli anni ‘70 i quaranta milioni. Una cifra oggi raddoppiata. Nel 1963, il Consorzio dell’Asti, che già aveva meritoriamente operato negli anni precedenti, in cui non esisteva alcun regolamento legislativo di tutela e di controllo, si attiva per il conseguimento della Doc e successivamente diventa il principale promotore della proposta della Docg per l’Asti: una scelta di rigore ed insieme di coraggio, che comprova la ferma volontà della ricerca della qualità, della serietà produttiva e del rispetto del consumatore. Direi però che è proprio il territorio d’origine, la vera garanzia di qualità del prodotto. I dieci mila ettari su cui si estende la zona di produzione dell’Asti docg sono particolarmente vocati alla coltura del moscato bianco di Canelli, che qui trova la sua massima espressione. Il rimando alle nostre colline vitate è immediato: esso collega la dolcezza assaporata nella coppa ad un mondo che vive perché l’aroma caratteristico del moscato bianco venga mantenuto intatto sino all’assaggio. L’uno, il territorio, rappresenta un valore aggiunto per l’altro, il vino, in un rapporto indissolubile. Per questi motivi il claim della campagna del piano di valorizzazione, partito nel 2006, puntava sulla caratteristica peculiare dell’Asti docg e sulle sue origini: “La dolcezza nasce dalla terra”. Con poche parole si intendeva trasferire un messaggio semplice ma efficace, completato dalle immagini del prodotto nella coppa accompagnato da vedute del territorio. In una regione come il Piemonte, ricca di tradizione enogastronomica, ogni denominazione funge da traino per un certo tipo di turismo attento a questo discorso”.
PAOLO LAZZERI
Direttore Consorzio Vino Chianti
I viticoltori, con la loro stessa attività, sono anch’essi protagonisti della salvaguardia del territorio
“Le origini del Consorzio del Chianti risalgono al 1927, ad opera di un gruppo di viticoltori della zona fra le province di Firenze, Siena, Arezzo e Pistoia, allargando successivamente la sua operatività a tutta la zona di produzione, prima ancora che fossero delimitate le sette zone del chianti classico. Il primo disciplinare è invece del 1967, anno della prima legge completa sul Doc. Dell’84 è l’applicazione della Docg, con l’obbiettivo di raccogliere tutta l’esperienza del mondo del “ Chianti Putto”, che è il simbolo dei nostri vini. E’ stata un passaggio importante, perché il Docg offre una maggior garanzia ed un concetto produttivo più rigido. Con controlli che iniziano dal vigneto, obbligatoriamente iscritto all’ albo, prosegue con le denunce di produzione e termina con l’applicazione delle fascette di Stato. La produzione oggi tocca i 100-120 milioni di pezzi l’anno, per 800 mila ettolitri di vino. Il nome Chianti per il vino risale all’800 e per molti anni si è avuto il problema di proteggere questa denominazioni da usi impropri, mantenendo nello stesso tempo un buon rapporto prezzo/qualità. Oggi il Consorzio soffre, come tutti, gli effetti della crisi economica, ma riteniamo che proprio l’ottimo rapporto prezzo/qualità sia l’arma giusta per superarla. Il traino del territorio dovuto alla produzione del vino Chianti è stato sicuramente notevolissimo. Gran parte del merito va agli splendidi paesaggi toscani e alle molte città d’arte. Inoltre, bisogna sottolineare che i viticoltori, con la loro stessa attività, sono anch’essi protagonisti della salvaguardia del territorio, con vantaggi per entrambi, vino e territorio. Questo fortissimo legame si può vedere anche nell’ultima campagna promozionale del Chianti, lanciata anche in Germania e negli Stati Uniti, dove il vino è stato legato ad un’immagine simbolo della Toscana, come la moda e i tessuti di qualità. L’immagine che abbiamo scelto, infatti, è quella di un tessuto porpora versato a mo’ di vino in un bicchiere. Obiettivo è stato quello di rinfrescare l’immagine del Chianti, mantenendo i nostri clienti più affezionati, ma anche trovandone di nuovi. Altro elemento importante del legame del vino col territorio è rappresentato dalle nostre strade del vino. Strade, perché ogni territorio ne ha una sua specifica. Abbiamo iniziato già 30 anni fa con la prima strada, quando in Italia ancora nessuno aveva fatto una cosa simile. E’ stato un investimento notevole, ma che ha avuto notevoli riscontri. Tanto che abbiamo partecipato anche alla costituzione delle strade europee del vino. Il successo delle strade del vino non è direttamente misurabile, ma sicuramente ha permesso una maggior diffusione delle vendite dirette in cantina e dei pernottamenti negli agriturismi”.
DOMENICO AVOLIO
Direttore dell’Ufficio del Comité Champagne in Italia
Sono 13 le “ambasciate” dello Champagne che lavorano per promuovere la conoscenza di questo vino
“Istituito per legge nel 1941, il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne ha lo scopo di gestire e difendere gli interessi comuni dei vigneron e delle maison di Champagne. Fin dall’inizio del secolo scorso, gli champenois compresero l’importanza di organizzarsi per fissare regole precise e condivise che avrebbero garantito la difesa di un vino che stava rapidamente acquisendo un’aura di mito. Furono così fissati i limiti dell’area vinicola e le regole comuni di produzione, che si configurarono presto come i passi decisivi per il riconoscimento successivo della denominazione. Parallelamente, dopo una lunga gestazione, prendeva forma il progetto di creazione del Comité, una delle prime esperienze di comitati interprofessionali e oggi considerato una delle più complete nel suo genere. Collocato a metà tra pubblico e privato, il Comitato è un’istituzione impegnata nella tutela dello Champagne attraverso interventi economici, tecnici, ambientali e di crescita qualitativa. Il Comité inoltre promuove l’organizzazione della filiera, la comunicazione e lo sviluppo della notorietà del marchio sui principali mercati internazionali e la tutela della denominazione in tutto il mondo. Lo Champagne, vino internazionale per eccellenza, ha sentito anche la necessità di essere presente in prima persona sui mercati con la propria organizzazione e ha costruito nel tempo una rete di uffici di rappresentanza nei principali mercati esteri. Oggi sono 13 le “Ambasciate” dello Champagne, tra le quali l’ufficio italiano che opera da quasi 25 anni, che lavorano per difendere la denominazione e promuovere la conoscenza con i professionisti del mondo del vino, della formazione e dei media. Per rispondere alla crescente richiesta dei professionisti del settore enologico ma anche al desiderio degli amanti del vino di approfondire le conoscenze in materia di Champagne, il Comité ha lanciato Oenotourisme Champagne, un sito, raggiungibile dal quello del Comité Champagne (www.champagne.fr), che permette di pianificare un itinerario completo all’insegna del piacere e dell’enogastronomia. E’ possibile riservare visite guidate alle grandi Maison ma anche degustazioni nelle cantine dei vignerons. Bisogna poi ricordare che la regione della Champagne è candidata a diventare patrimonio mondiale dell’Unesco nel 2011, per questo il sito è stato ideato in modo da valorizzare non solo lo Champagne e il suo terroir unico, ma anche la regione, luogo ricco di storia e cultura. Il sito mette a disposizione una guida dettagliata di offerte enoturistiche, che permettono di definire i dettagli della permanenza, dall’alloggio alle visite nelle cantine, attraverso i percorsi del gusto e della cultura per ottimizzare ogni minuto della permanenza”.
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