Basta vini corposi e strutturati. Molto meglio la leggerezza e l’amabilità. C’è, inutile nasconderlo, un ripensamento nel consumo del vino, che premia spesso i vini a bassa gradazione alcolica. Se negli ultimi anni il grado dei vini prodotti nel nostro paese è tendenzialmente aumentato, dall’altra parte i consumi si sono notevolmente ridotti, attestandosi sino a scendere sotto i 40 litri pro capite. Ecco, allora, che i vini a ridotta gradazione alcolica potrebbero essere una delle soluzioni per rilanciare il consumo, spingendo magari proprio sulla leva del “bere consapevolmente”. Se ne parlò, un anno fa, durante un convegno al Vinitaly, sul tema “Intorno ai 12%. Vini a ridotto tenore di alcol, un’opportunità di mercato” organizzato da L’Informatore Agrario. In molti paesi stranieri, del resto, la domanda di vini a bassa gradazione è fortemente in crescita, dalla Francia alla Germania, dagli Stati Uniti all’Inghilterra. Ma si tratta davvero di una tendenza duratura o è forse solo una moda passeggera? E, volendo seguirla, quali sono gli interventi da effettuare in vigneto e in cantina? Fino a che punto le aziende vinicole devono tendere l’orecchio ai desideri dei consumatori, piuttosto che proporre il loro stile personale? Queste le domande che abbiamo rivolto a tre enologi di fama, Roberto Cipresso, Renzo Cotarella e Alessio Planeta, ed al miglior sommelier Ais del 2011, Gabriele Del Carlo. Buona lettura.
Roberto Cipresso
Winemaker
“Gli elementi magici del vino,
le caratteristiche infuse dal terroir,
sono veicolati proprio dall’alcol”
“Seppure oggi ci sia sicuramente una maggior attenzione al problema della gradazione alcolica, è bene ricordare anche che nel vino l’85% per cento è composto da acqua, per cui non è certo la bevanda su cui debba essere rivolto un certo terrorismo mediatico. Oltre a questo c’è da considerare che i grandi vini sono indissolubilmente legati all’alcol presente in essi. Gli elementi magici del vino, le caratteristiche infuse dal loro terroir, sono veicolati proprio dall’alcol. Una certa parte dell’industria vinicola, penso soprattutto alle grandi aziende, che per forza di cosa devono essere legate ai mutamenti del mercato e alle mode del momento, si sta sempre più orientando verso vini a minor gradazione. Basti pensare al boom delle bollicine, oggi coltivate ovunque, anche dove in realtà non si dovrebbe, oppure alle tecnologie di dealcolizzazione, che non so fino a quanto siano davvero consentite. Ma il vino così prodotto, assomiglierà sempre più ad un vino bibita, questo perché i grandi vini non possono che nascere dalla maturazione completa delle uve. Solo questi possono essere considerati vini di grande orgoglio e personalità, legati strettamente al loro terroir e non possono certo prescindere dalla presenza di alcol. Ci sono alcuni casi di vini di questo tipo anche con grado moderato, penso al Bordeaux, ma solo perché hanno un terroir in grado di favorire la loro maturità fenolica, anche grazie ad una grande intensità luminosa, che rende la fotosintesi più rapida, e ad una forte escursione termica. Qualità della luce e qualità dell’escursione termica, oltre all’acqua, sono gli elementi che possono aiutare una maturazione fenolica puntuale e quindi garantire grandi vini a moderata gradazione alcolica.
Se oggi la grande industria deve obbligatoriamente seguire strategie di marketing aggressive per stare dietro alle mode del momento, tenendo l’orecchio ben teso verso il mercato, io preferisco lavorare con quelle medio-piccole aziende che in qualche modo riescono a imporre la loro professionalità, che fanno vini per far innamorare di loro una parte del mercato. Artigiani che sanno esprimere la bellezza dei loro vini magari grazie anche attraverso il difetto, in una sorta di strabismo di Venere, e che vanno per questo salvaguardati. Il consiglio che mi senti di dare a questi viticoltori è di tenere duro, anche in un momento difficile come quello attuale, perché la coerenza, il rispetto della propria filosofia produttiva, alla fine sarà sicuramente premiante.
Sicuramente un ruolo importante nel comunicare il giusto valore di questi vini è anche quello dei sommelier, di cui sono un grande fan, perché sanno anteporre la loro passione per il vino e mettere tutto il loro slancio personale. Purtroppo molto spesso il sommelier è ancora educato alla conoscenza e ricerca del vino con concetti un po’ troppo elementari. Nell’estetica di un vino, nella sua riconoscibilità, quelli che andrebbero rimarcati di più sono la qualità della terra piuttosto che la bellezza del fiore”.
Renzo Cotarella
Amministratore delegato Marchesi Antinori
“La vite ha una sua identità
che va mantenuta e non deve essere
condizionata dal mercato”
“Innanzitutto bisogna tener presente che la gradazione alcolica è solo uno degli elementi costitutivi di un vino, non certo l’unico. In secondo luogo il vino deve dare, dal punto di vista gustativo, quello che richiede il consumatore, ed effettivamente questa richiesta di vino a moderata gradazione c’è. Il problema è che spesso si tende ad esasperare, sia da parte dei produttori che degli addetti ai lavori, una certa pratica agronomica, dovuta in parte anche ai cambiamenti climatici, basata su basse produzioni per ettaro e ampie superfici fogliari. Riguarda meno i vini bianchi, in cui la maturazione anche a gradazioni sui 12-12,5% non differisce dalla qualità del vino. Il problema serio è invece con i vini rossi, la cui buona dolcezza gustativa dipende strettamente da una maturazione fenolica adeguata. Parlo soprattutto di vini rossi di altissima fascia, sui quali la riduzione alcolica diventa perciò assai complessa. Vuol dire ridurre la gradazione zuccherina, ridurre la superficie fogliare e fornire una maggior ombreggiatura, tutti esempi agronomici che possono consentire di recuperare gradazione. Per ottenere vini al di sotto dei 12° molto strutturati l’unica via è la dealcolizzazione, ossia togliere zuccheri. Ma questo non tiene conto del valore legato alla naturalità dell’uva. Appare logico per vini di tutti i giorni, ma per vini con una certa anima, con una loro forza questo non si può fare. Purtroppo oggi questa richiesta di vini a bassa gradazione esiste. Non è un problema che tocca Antinori o tutte quelle aziende che fanno vini di territorio, ma credo comunque sia una tendenza destinata a continuare, sia per il battage antialcol, sia per una certa tendenza salutista, sia perché certi vini, soprattutto i bianchi molto alcolici, non sono più considerati così gradevoli come in passato. Certo, tutto questo dovrebbe essere un’opportunità di mercato, ma in realtà non è proprio così. Faccio un esempio personale. Negli anni Ottanta avevamo concepito un vino fresco, fruttato e leggero, il Galestro, considerato un po’ al limite di gradazione. Per questo venne ribattezzato Capsula Viola e aumentato di grado. Due anni fa decidemmo di provare a produrlo a 10%. Fu un insuccesso. Per il consumatore l’abbassamento del grado aveva peggiorato il vino. Questo per dire che è giusto fare i conti con le richieste di mercato, a patto però di non snaturare il vino stesso, che deve mantenere sempre la sua naturalità di base. La vite non può cambiare seguendo le mode, ha una sua identità che va mantenuta e non deve essere troppo condizionata dal mercato. I vigneti non possiedono questa elasticità, anche perché abbiamo vigne che durano 30-40 anni. Se piacciono i vini più morbidi l’enologo può intervenire in qualche modo, ma parliamo di sfumature. Oltre certi limiti questo non è più possibile. E’ quindi difficile fare un vino di moda, è preferibile invece seguire il territorio, senza mai banalizzarlo”.
Alessio Planeta
Titolare azienda Planeta
“Soluzioni agronomiche per ottenere produzioni
a grado ridotto, ma puntando
su un’enologia di territorio”
“Credo che nessun produttore che abbia una certa filosofia produttiva possa seguire oggi le mode in modo schizofrenico. Anche perché spesso le mode durano poco, mentre un progetto vinicolo richiede decenni per essere portato a termine. Le richieste dal mercato vanno ascoltate, certo, ma sempre cercando anche di adattarle alle proprie esigenze e strategie produttive. E’ vero, d’altra parte, che se negli anni Novanta si cercavano di produrre vini molti alcolici, oggi il gusto si è affinato e orientato in modo diverso verso vini a moderata gradazione. L’obiettivo di molte aziende, quindi, è quello di raggiungere un equilibrio competitivo, in cui la gradazione è sicuramente un elemento importante, anche se non l’unico. Penso ci siano due modi di affrontare la questione, uno sbagliato ed uno corretto. O con un’attività prettamente enologica, ma sono soluzioni “dopanti” che alla lunga si rischiano di pagare, oppure, ed è la soluzione sicuramente più giusta da adottare, con un approccio viticolo. In questo caso si deve puntare su precise scelte ampelografiche, che è ed è questo il modo corretto soprattutto per il panorama viticolo siciliano. Esistono, infatti, vitigni che possono raggiungere la maturazione anche a gradazioni più basse, sui 12%, e penso al grecanico per i bianchi ed al nero d’Avola per i rossi, ma sono solo alcuni esempi. Generalmente ci possono quindi essere solo tre aree di intervento corrette: le scelte agronomiche, quelle varietali e quelli di portainnesto, che hanno ad oggi ancora poca attenzione. Esistono quindi soluzioni agronomiche in grado di sostenere una produzione a gradazioni ridotte, puntando sempre e comunque su un’enologia di territorio. Oggi chi fa ricerca in viticoltura è purtroppo visto in maniera negativa, perché stiamo vivendo una sorta di fase di oscurantismo. Invece credo che chi cerchi di essere originale, sia degno di ogni rispetto, a patto che non si tradiscano i consumatori. In Italia la ricerca orientata verso le varietà autoctone è sfruttata solo al 30% del suo reale potenziale, ed è stata rallentata anche perché in cantina si preferisce ancora lavorare solo sui vitigni internazionali. Ricordiamoci, inoltre, che ogni grande regione viticola internazionale è sempre legata ad un grande centro universitario di riferimento, un aspetto in cui il nostro paese è ancora carente. Si parla anche dell’effetto dei cambiamenti climatici, ma non credo sia un grosso problema. In Sicilia, ad esempio, abbiamo avuto dal 1999 al 2022 annate di grande siccità, ma dal 2003 una piovosità superiore anche rispetto al passato. Anche in questo caso si deve lavorare sulle soluzioni agronomiche e varietali adeguate al caso climatico specifico”.
Gabriele Del Carlo
Sommelier Restaurant Le Cinq
Parigi
“La gradazione alcolica
non influisce poi così tanto
su una maggior bevibilità”
“Chiaramente per le aziende produrre oggigiorno vini con una gradazione inferiore a quella a cui ci siamo abituati potrebbe essere un vantaggio. Da quando ho iniziato a fare questo lavoro, quindi quasi 10 anni fa, avviene sempre più spesso che i clienti si informino sulla gradazione dei vini da noi serviti, e non restino abbastanza soddisfatti quando annunciamo una gradazione abbastanza elevata. Oggi molti clienti sono alla ricerca di vini con maggior bevibilità, trascurando forse il fatto che la gradazione alcolica poi non influisce così tanto su quest’ultima. E’ evidente che per un’azienda riuscire ad abbassare il grado alcolico del vino può portare una maggiore vendita di fronte al pubblico che ricerca questi vini, ma io sono dell’idea comunque di lasciar fare il suo corso alla natura. Il clima degli ultimi anni ha influito molto su questo fatto, ma non possiamo negare che tutte le operazioni effettuate in cantina per rendere i vini più concentrati, tipo le lunghissime macerazioni, fermentazioni lunghissime per ottenere vini dai profumi più complessi, hanno ancor più messo in evidenza l’aspetto “muscoloso” e non l’eleganza. Io non credo sia finita l’era dei vini importanti, credo piuttosto che il gusto sia cambiato e che oggi la clientela si sia abituata a bere vini più ricchi e più strutturati. Prendendo l’esempio della regione di Bordeaux, è facile accorgersi del cambiamento: ad inizio anni ‘80 la più parte dei grandi chateau metteva in commercio vini a 12,5%, oggi non esiste più nessuno nella regione capace di imbottigliare un grande vino a questa gradazione, come già detto a causa della natura ma secondariamente a causa dell’uomo e del nuovo orientamento al bere vini più ricchi e concentrati (vedi fenomeno Parker). Non dimentichiamoci che la ricerca verso nuovo vini è il nostro pane quotidiano; per chi lavora ogni giorno in ristoranti assaggiando centinaia e centinaia di vini ogni settimana la cosa più affascinante resta ancora nell’andare in giro per vigneti e scoprire nuovi produttori sconosciuti, denominazioni minori che escono alla ribalta, per poter poi sorprendere e stupire i nostri clienti. Certo, la moda conta nell’enologia, come in tutte le altre cose, basti vedere quanti produttori a Barolo e Barbaresco non molto tempo fa si siano messi alla ricerca asfissiante di Baroli dal gusto più morbido e più vellutato, come d’altronde il mercato domandava. Oggi, per fortuna, la stragrande maggioranza è tornata sui propri passi rivedendo molto la propria fase di vinificazione e ritornando ad imbottigliare vini con una propria identità. Per quanto riguarda Le Cinq, nella nostra cantina è evidente un momento (i primi anni del 2000) dove entravano vini moderni che seguivano le tendenze di mercato che sono stato acclamati per un po’ di anni ma che oggi sono rimasti purtroppo messi un po’ da parte”.
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