Viticoltura eroica. Un termine sicuramente evocativo e di grande impatto, che fa pensare ad una viticoltura figlia della fatica e del sudore, realizzata in zone geograficamente impervie, spesso sconosciute e talvolta impossibili da raggiungere, sulle quali si inerpicano vigne coltivate in minuscoli fazzoletti di terra strappati alla montagna, alle rocce, al mare. Che, grazie alla tenacia e alla passione di alcuni piccoli-grandi vignaiuoli, sono comunque in grado di regalarci vini straordinari, carichi di storia e di suggestioni, spesso rari, visto che la produzione è di poche migliaia di bottiglie, e preziosi ma che sanno farsi apprezzare sempre di più. Dal Trentino-Alto Adige alla Sardegna, dalla Valle d’Aosta all’isola di Pantelleria, dalla Valtellina alla Costiera Amalfitana e alla Costa Viola, dalle Cinque Terre alle pendici dell’Etna, sono molti gli esempi di viticoltura eroica nel nostro paese. Ma anche all’estero, basti pensare alla Valle del Douro, alla Galizia o ad esempi assolutamente estremi ed impensabili, come nelle Canarie o a Cipro, dove ci si spinge a coltivare ben oltre i 1500 metri di altitudine.
Secondo la definizione del Cervim, il Centro di ricerche per la Viticoltura Montana, per vini eroici vanno intesi quelli prodotti da vigne ubicate su terreni con pendenza superiore al 30%, oppure collocate ad un’altitudine media superiore ai 500 metri, o ancora distribuite su terrazze o gradoni o coltivate su piccole isole. Tutte situazioni estreme, ma che da oggi hanno anche un loro marchio collettivo di qualità, istituito proprio dal Cervim. Quelle che raccontiamo in queste pagine, quindi, sono storie di grande passione e fatica, ben lontane da certa viticoltura “industriale”, ma che affascinano proprio per questo. Storie che parlano di impervie montagne, quella della Val d’Aosta dove si trova la cooperativa La Crotta di Vegneron, di coste scoscese sul mare, quelle della costiera amalfitana dove si trova la Cantina Marisa Cuomo, e di impervie colline vulcaniche, quelle dei nostri Monti Lessini, sede della Fongaro Spumanti. Buona lettura.
Roberto Gaudio
Presidente Cervim-Centro di ricerche, studi,
salvaguardia, coordinamento
e Valorizzazione per la Viticoltura Montana
“La viticoltura eroica va letta sotto due aspetti,
quello socio-economico
ma anche quello di tutela paesaggistica”
“Il Cervim, Centro di ricerche, studi, salvaguardia, coordinamento e valorizzazione per la viticoltura montana, è stato istituito con una legge autonoma della Val d’Aosta nel 1987 e prevede che i suoi associati abbiano almeno una di queste caratteristiche: attività viticola in località superiori ai 500 metri di altitudine, pendenze superiori al 30%, presenza di sistemi viticoli terrazzati o la viticoltura delle piccole isole. Ovviamente è molto difficile che un’azienda possegga insieme tutte queste caratteristiche, l’unico esempio del genere è nelle isole Canarie, dove esistono vigneti fino a 1500 metri, ma basta che ne abbia solo una. Gli associati del Cervim sono regioni, provincie, consorzi con una superfice superiore ai 5000 ettari, che sono chiamati soci di categoria “A”, mentre nella categoria “B” rientrano i consorzi con superfice inferiore ai 5000 ettari, gli enti di promozione del vino e, come terza tipologia, ci sono le singole aziende viticole e gli enti di ricerca. I nostri associati provengono da sette paesi europei, fra cui ovviamente l’Italia con regioni come la Liguria, la cui viticoltura è quasi totalmente considerata eroica, la Val d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, i Colli Apuani, l’Isola d’Elba e la Sicilia. Tra gli associati esteri ci sono le regioni del Douro in Portogallo, la Galizia in Spagna, la Wachau in Austria e la Rhône-Alpes in Francia. Parliamo quindi di aree che producono vini di grande qualità e dalle caratteristiche paesaggistiche splendide. Nonostante la crisi abbiamo avuto un balzo in avanti dei nostri associati, con un aumento significativo di iscrizioni soprattutto da parte delle aziende di almeno il 30%. La nostra attività principale è quella della valorizzazione dei prodotti e per questo due anni fa abbiamo registrato un marchio collettivo di appartenenza denominato “Viticoltura Eroica” che viene concesso solo alle aziende che ne fanno richiesta esplicita. Inoltre organizziamo un Concorso internazionale che quest’anno ha tenuto la sua seconda edizione. A livello europeo possiamo stimare che le aziende che rientrano nella definizione di viticoltura eroica occupino circa il 4-5% della superfice totale. La maggior parte di queste coltiva vitigni autoctoni, solo in parte integrati con quelli internazionali, in grado di produrre vini del tutto peculiari e su cui il consumatore dimostra grande attenzione e gradimento. La vera sfida è di far immaginare loro anche i paesaggi che stanno dietro a questi vini, infatti, in tutti gli esempi di viticoltura eroica è molto forte anche l’aspetto turistico. La viticoltura eroica va quindi letta sotto due aspetti, quello socio-economico ma anche quello di tutela paesaggistica, ma non per questo la si deve considerare come una viticoltura fatta per semplice passione o magari con il solo intento della salvaguardia del territorio, in molti casi si tratta invece di realtà imprenditoriali di tutto rispetto. Certo, ci sono costi di produzione maggiori, quindi i prezzi sono mediamente più alti, le rese sono inferiori alla media e non si possono produrre grandi quantità, ma si tratta in molti casi di vini “simbolo” di uno specifico territorio, apprezzati proprio per questo. Ed è il motivo principale per cui andrebbero protetti di più, dal punto di vista legislativo, ed messi in condizione di produrre meglio. A questo si aggiunge un altro problema che è invece rappresentato dall’invecchiamento degli addetti del settore, che potrebbe in futuro creare qualche problema nel ricambio generazionale”.
Andrea Costa
Responsabile tecnico e commerciale
La Crotta di Vegneron, Chambave (Aosta)
“I consumatori apprezzano i vini di montagna
soprattutto per il loro modo diverso di esprimersi”
“La Val d’Aosta è una regione dedita alla viticoltura da tempi antichissimi. A metà dell’Ottocento la superfice vitata era di 300 ettari, ma successivamente ha vissuto un periodo di fortissima contrazione, vuoi a causa dell’arrivo della filossera e delle malattie fungine, ma soprattutto per la modernizzazione dell’intera zona che ha trasformato l’economia da agricola ad industriale. A fine anni Settanta del secolo scorso la superfice, infatti, si era ridotta al minimo storico, a soli 300 ettari. Nacque allora la volontà di riportare in auge le zone viticole, grazie anche alle agevolazioni della Regione Autonoma, in modo da ridistribuire il reddito e trasformarle da viticoltura di sussistenza alla vendita vera e propria. Nel 1980 quindi è stata fondata la Cooperativa La Crotta di Vegneron, ma solo al 1985 risale la prima vendemmia, su 10 ettari di vigneto e con uve provenienti da 70 soci. Oggi i soci sono poco meno di cento su 35 ettari, dei 400 regionali, ed è in atto una forte riqualificazione della produzione. Le differenze sostanziali, anzi direi meglio le peculiarità, fra la viticoltura di montagna e quella tradizionale sono quelle relative al terreno di coltivazione, che nella zona di Chambave va dai 450 agli 800 metri, con punte sino ai 1200 dei vigneti di La Salle sulle pendici del Monte Bianco. La pendenza obbliga ha lavorare su terrazzamenti o su ciglioni, come avviene a Chambave, che servono per portare le zone di lavoro sul piano. Questo produce un aumento delle ore lavoro per ettaro, aumento causato anche dalla forte parcellizzazione dei vigneti, disseminati in un’ampia zona di 3000 metri quadrati con oltre 100 viticoltori, una suddivisione che penalizza la razionalità. Inoltre non c’è meccanizzazione e quasi tutto il lavoro viene svolto a mano. Oggi, con il ricambio generazionale, assistiamo ad una trasformazione dell’attività: i giovani viticoltori, spesso con lavoro part-time, cercano di riportare i vigneti del territorio ad un corpo unico, creando unità organizzate che possano permettere una maggior lavorazione meccanica. Anche il clima ha molti effetti sulla lavorazione, con maggiori interventi sulle piante, visto che i cambiamenti climatici avvengono anche molto repentinamente. Il passaggio, ad esempio, dall’estate all’autunno è molto rapido, spesso di appena una sola settimana. Tenere le piante in equilibrio, quindi, non è facile. Per quello che riguarda l’apprezzamento da parte dei consumatori, questi premiano non tanto l’aspetto eroico della viticoltura quanto quello dei vini di montagna, che vengono percepiti per il loro modo diverso di esprimersi. Il valore aggiunto di questi vini è dato dal fatto che lavorano bene sul profumo, sono dotati di buona freschezza e maggior sapidità, quindi facili alla beva e mai stucchevoli. Tutte caratteristiche offerte dal particolare terroir dei vini di montagna. Per evidenziare al meglio le caratteristiche di questa viticoltura il modo migliore restano le visite dirette sul territorio. Per questo organizziamo spesso tour didattici sul territorio, direttamente fra i vigneti piuttosto che nelle cantine. Questo serve sicuramente a dare un valore aggiunto ai nostri vini”.
Andrea Ferraioli
Titolare Cantina Marisa Cuomo,
Furore, Coste di Amalfi (Napoli)
“Servirebbero più aiuti
per aziende come la nostra
che contribuiscono alla salvaguardia del territorio”
“La storia della nostra azienda ha radici profonde, legate sia alla mia famiglia che a quella di mia moglie Marisa. E’ la storia di un territorio difficile, la costiera amalfitana, dove l’uva si coltiva sin dal Cinquecento. Ma per noi tutto è iniziato nel 1982, subito dopo il nostro matrimonio, quando abbiamo deciso insieme di intraprendere la strada della viticoltura, dopo che le ebbi regalato per le nozze una proprietà ricevuta in eredità. Non è stata una scelta facile, perché fare impresa al Sud e soprattutto in un territorio impervio come il nostro, dove si coltiva in una fascia che va dai 180 ai 650 metri con pendenze anche di 60 gradi, non è certo semplice. Anche perché abbiamo praticamente dovuto incominciare tutto da zero. L’attività, fra l’altro, allora era poco economica, con rese basse e molte difficoltà organizzative. L’idea era quella di farla diventare un’azienda di vertice della filiera agricola della zona. Così iniziammo a cercare dei conferitori, offrendo tutto il nostro sostegno per chi produceva uva, sino ad arrivare, oggi, ad averne 41. Abbiamo puntato solo su vitigni storici della nostra zona, che risalgono a prima delle Repubbliche Marinare, investendo molto anche nell’aspetto di rinnovamento con la ristrutturazione di molti muretti a secco. Credo che la chiave della nostra attività sia il rapporto duplice che c’è con il settore turistico. Da una parte ci sostiene, perché gran parte delle nostre vendite provengono dai chi viene in visita nelle nostre zone ed il forte sviluppo del turismo ha contribuito certo a farci conoscere, ma dall’altra questo grande sviluppo ha portato ad un crescente abbandono del lavoro in vigna, perché richiede grossi sacrifici mentre il primo è sicuramente più gratificante. Il punto di forza della nostra produzione è che presenta profumi originali ed unici, non replicabili. Un’idea di vino che ha ottenuto grandi consensi, visto che un nostro vino è stato premiato al Merano Wine Festival come miglior bianco espressione del territorio. Il punto di debolezza invece sono le maturazioni diverse delle nostre uve, che ci costringono ad un grande lavoro in vigna. Ci troviamo ad appena 10 chilometri dal Vesuvio, su un terreno con molti elementi calcarei, e questo apporta ai nostri vini una spiccata mineralità e notevole sapidità al palato. Sono comunque vini difficili da inquadrare, una via di mezzo fra vini di mare, di collina e di montagna. Certo, per crescere servirebbe un maggior sostegno verso territori svantaggiati come il nostro. Manca la manodopera, oggi un po’ risalita a causa della crisi, e le istituzioni raramente ci prendono in considerazione. Un grosso problema, ad esempio, è il crollo dei muretti a secco, antichissimi e spesso giunti al degrado. Con molti sacrifici stiamo provando a rifarli, ma servirebbero più aiuti e leggi specifiche, magari creando un sistema fra enti istituzionali per finanziare le aziende come la nostra che contribuiscono alla salvaguardia del territorio”.
Matteo Fongaro
Titolare della Fongaro Spumanti
Roncà (Vicenza)
“Sono vini che sanno di territorio
e possono essere apprezzati
anche dai non esperti”
“Quello che differenzia la nostra viticoltura è l’esposizione su terreni di collina alta, tutti con lavorazione a mano e senza l’utilizzo di macchinari. Siamo inoltre la prima azienda veneta certificata bio, cosa che ci permette di aggiungere in etichetta, grazie alla nuova normativa europea, la dicitura di “vino biologico”, anche per le annate precedenti al decreto. La nostra è un’azienda di famiglia, che abbiamo rilevato io e mio fratello Alessandro da nostro nonno Guerrino. Lui creò l’azienda a metà degli anni Settanta, su terreni rocciosi ed in mezzo ad un bosco fra i Monti Lessini, una sfida che allora era ritenuta quasi impossibile, e furono in molti a giudicare bizzarre questa scelta, viste le enormi difficoltà di coltivare in quella zona. Sapeva perfettamente che quello che stava facendo era al di fuori di qualsiasi logica di mercato, ma in lui c’era la soddisfazione di creare qualcosa di unico, la voglia di dimostrare che un diverso tipo di agricoltura era possibile. E di confermare che, alla fine, l’amore per la propria terra ripaga sempre. Creò uno dei primi impianti di irrigazione e antigrandine e nell’85 iniziò la spumantizzazione del Durello col metodo classico. Io e mio fratello siamo entrati in azienda nel 2006, con l’idea non di stravolgerla ma piuttosto di ampliarne la parte commerciale. Abbiamo così avuto modo di farci conoscere, innanzitutto in ambito locale. E’ difficile dire che tipo di valore aggiunto abbia il vino coltivato in condizioni così estreme. Noi abbiamo sempre creduto che il vino debba parlare da sé, indipendentemente dalla zona di produzione o dal tipo di lavorazione. Preferiamo farlo degustarlo a mente aperta e senza pregiudizi e magari solo in un secondo momento spiegarne le caratteristiche e le differenze verso altre bollicine. Oggi il consumatore ha una scarsa conoscenza per quello che riguarda la viticoltura eroica, ma sicuramente questa permette di infondere ai vini determinate caratteristiche che riescono poi ad emergere. Sono vini che sanno di territorio e che possono essere apprezzati anche dai non esperti. Il nostro vitigno autoctono, la durella, dona al vino, grazie alla sua spiccata acidità, maggior freschezza, sapidità e mineralità rispetto ad altri spumanti. Un buon vino, in definitiva, dev’essere equilibrato e rispecchiare al palato quello che si sente prima al naso, ed essere prima di tutto gratificante”.
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