Un pugno blu con pollice alzato. E’ il simbolo dei “like” di Facebook, i “mi piace” che sono il vero fenomeno della rete degli ultimi anni. Ma anche cruccio e tormento di tutte quelle aziende che stanno investendo, spesso anche molto, proprio sui social network, forma di promozione, valorizzazione e consolidamento dei brand sempre più utilizzata, da grandi come da piccole aziende, visti anche i costi contenuti di questo tipo di investimento. “Se trent’anni fa era indispensabile, come azienda, avere i propri biglietti da visita, e dieci anni fa era irrinunciabile possedere almeno un proprio sito internet, oggi non c’è attività che non abbia la propria pagina Facebook”, spiega Patrizia Grandicelli, consulente di comunicazione di BeeFree e social media manager per le pagine della Conegliano Valdobbiadene Academy.
Quel che è certo è che i numeri sono sicuramente dalla parte del social network più noto: 500 milioni di utenti attivi ogni giorno (come la popolazione dell’intero continente Nordamericano), 50 milioni di “mi piace” quotidiani (578 ogni secondo), 125 milioni di siti che utilizzano i “mi piace” nelle loro pagine. La chiave del successo di Facebook è la condivisione dei contenuti, quel passaparola virtuale che fa sì che qualsiasi cosa si scriva o si metta online, venga poi rilanciato a catena dai propri fan o dai propri amici. Con risultati esponenziali altissimi: ogni volta che un utente condivide qualcosa, viene apprezzato mediamente 2,4 volte dagli amici. E la popolarità, aumenta vertiginosamente.
Fin qui i numeri, ma è davvero così semplice ottenere risultati attraverso i social network? E come vanno realmente misurati, in termini di ritorno dall’investimento? “L’utilizzo dei social network da parte delle aziende è ormai un fenomeno consolidato – spiega Luca Conti, giornalista e blogger, autore di “Fare business con Facebook” (Hoepli) –, tanto che Facebook è il luogo dove le aziende sono più presenti, grazie anche all’enorme numero di persone che usa questa piattaforma, ben 24 milioni solo in Italia, che è anche quella dove oggi si passa più tempo in rete. Il problema e che non tutti curano questa forma di comunicazione in modo professionale”. Non basta, quindi, essere su Facebook, ma bisogna saper creare un’attenta strategia di comunicazione, come racconta anche Vincenzo Cosenza, social media strategist e responsabile della sede romana di BlogMeter, società che si occupa di analisi delle conversazioni in rete e delle interazioni sui social media, autore del libro “Social Media ROI” (Apogeo): “Generalmente noto una scarsa cultura nell’approccio agli ambienti sociali della rete. Non si tratta di saper utilizzare i social network, ma di comprendere che per coinvolgere le persone bisogna ascoltare e dialogare. Spesso, invece, le aziende usano Facebook e Twitter come spazi meramente pubblicitari. L’errore più comune è quello di una comunicazione impersonale, fredda, calata dall’alto. Insomma si usano le vecchie grammatiche della comunicazione applicate ad ambienti nuovi, frequentati da consumatori “nuovi”. Persone che vogliono essere coinvolte e non essere trattate come ricettori passivi di messaggi promozionali”. L’approccio corretto, quindi, è utilizzare il giusto mix di strategia e linguaggio appropriato.
“I mercati sono conversazioni – conferma Patrizia Grandicelli – e la maggior parte di queste conversazioni si svolge in rete. Se non si è in internet non si esiste come vetrina aziendale. Per calcolare il rendimento dell’attività su internet non esiste una formula, un algoritmo. Essere presenti però è indispensabile per costruirsi un’identità, una reputazione, ma soprattutto per governare meglio il dialogo fra azienda ed utenti. E, possibilmente, anche per influenzarne le scelte. Molte realtà aziendali sono ancora restie ad utilizzare il linguaggio che serve ai social network, e questo vuol dire veicolare contenuti che interessano ai propri fan, ossia alle persone che utilizzano i social, per conferire identità al brand. Bisogna ingaggiare con loro una conversazione. E’ un concetto che le aziende faticano ancora un po’ a capire, preferendo piuttosto svolgere un’attività di presidio”.
Sono molti, quindi, gli errori e le lacune di certi approcci, magari affrettati e non pensati a tavolino, sui social network. Quali sono allora i consigli per un’azienda che volesse investire sui social? “Innanzitutto è bene conoscere il proprio pubblico di riferimento – dice Conti –, se questo è composto principalmente dai mercati esteri, com’è il caso di molte aziende del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, Facebook offre anche la possibilità di inserire messaggi in un’altra lingua che possono essere visualizzati solo da utenti di quello specifico paese. Il secondo consiglio è quello di evitare errori che spesso derivano dall’improvvisazione o dal fai-da-te senza adeguate competenze alle spalle. Non bisogna limitarsi ad essere presenti solo per seguire le mode, ma bisogna creare una propria strategia di comunicazione, ragionare su cosa ci si aspetta, che tipo di investimento è richiesto in termini di tempo ed energia. Insomma deve esserci uno stretto legame con tutte le forme di comunicazione ed attività di marketing aziendali. E dev’essere ben chiaro qual è il valore aggiunto che i social possono offrire rispetto ad altre attività. Si deve partire sempre da un’analisi sia della strategia di base che delle competenze presenti all’interno dell’azienda e, se queste fossero insufficienti, magari rivolgendosi a qualche professionista esterno”.
“Il mio consiglio – aggiunge Cosenza – è quello di predisporsi alla comprensione prima di tutto, che si acquisisce attraverso la frequentazione quotidiana e l’ascolto. In fondo basta seguire le stesse regole che usiamo quando entriamo in un nuovo posto, frequentato da persone sconosciute: si entra, si ascolta, si comprendono gli stili di comunicazione, gli argomenti trattati e poi si prova a partecipare alla conversazione, con umiltà. Aumentare i fan e i follower non è l’obiettivo delle attività di comunicazione sul web, come erroneamente si crede. La cosa più importante da valutare per capire se gli sforzi compiuti sono serviti è l’engagement ossia il coinvolgimento dei propri potenziali lettori, futuri clienti”. “Certo è che oggi la comunicazione digitale non deve soltanto essere orientata ai social network – conclude la Grandicelli –, ma piuttosto deve integrare tutta una serie di strumenti, cercando allo stesso tempo di capire le esigenze e le aspettative dei propri clienti. Ogni canale, inoltre, va alimentato in modo diverso, ad esempio Twitter è ideale per veicolare i propri comunicati stampa, visto il grande uso che ne fa la stampa per rintracciare notizie, Pinterest è uno strumento straordinario ed è molto utile per veicolare il proprio brand, è una sorta di vetrina, di magazine dove mostrare i propri prodotti. Insomma, bisogna tenere sempre gli occhi ben aperti a quello che succede in rete”.
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