In termini di strategia aziendale si chiama diversificazione. Ossia, allargare la propria gamma con nuovi prodotti con lo scopo di ampliare il mercato e incrementare le possibilità di scelta dei propri clienti. Nel caso del vino questa scelta si traduce spesso nell’acquisizione di nuove tenute in zone vocate, spesso anche molto lontane e diverse da quella che è l’area storica di produzione originale di un’azienda. Al primo posto la Toscana, ovviamente, ma anche in Sicilia, Puglia, Piemonte, Trentino. Per le aziende venete è una strategia di espansione che ha radici lontane, ma che oggi si sta via via sviluppando. E’ così che sono nati i grandi gruppi vinicoli, vere e proprie “holding”, trasformatesi negli anni in colossi enologici di tutto rispetto e fra le prime aziende italiane del vino. Nel Veneto è il caso del Gruppo Italiano Vini, che ha sede a Villa Belvedere sul Lago di Garda, prima azienda vitivinicola italiana e tra le prime aziende al mondo, proprietaria di 15 cantine per 1340 ettari di vigneti di proprietà situati nelle zone vitivinicole più prestigiose d’Italia, senza contare le moltissime società partecipate, per 87 milioni di bottiglie prodotte l’anno. Ma anche del vicentino Gruppo Zonin: 10 tenute in 7 regioni italiane ed una anche in Virginia, negli Stati Uniti, per 2000 ettari di vigneto, capaci di produrre 40 milioni di bottiglie l’anno. E a Fossalta di Portogruaro c’è il Gruppo Vinicolo Santa Margherita della Holding Zignago: 9 tenute per 16 milioni di bottiglie. Oltre a questi imperi del vino, anche le aziende medio-piccole stanno pian piano capendo che la strada delle acquisizioni può essere l’idea giusta per allargare i propri mercati e, quindi, la propria offerta. Certo, parlando del prodotto vino, ossia di un prodotto dietro al quale non ci può essere solo una mera strategia aziendale decisa a tavolino, ma anche tanta passione, amore per la terra, sacrificio e soprattutto la capacità di adeguarsi e relazionarsi con terroir diversi, differenti metodi di coltivazione e produzione, e anche regole diverse, le cose non sono né così semplici né così immediate. Passare dal Veneto alla Toscana, o al Sud Italia, non è cosa da tutti. I terreni, il clima, le stesse persone sono totalmente differenti. Cosa spinge, quindi, un’azienda veneta a produrre vini fuori dalla propria regione? Quali sono gli obiettivi e le strategie dietro questa scelta e, soprattutto, quali le difficoltà ed i risultati ottenuti? Abbiamo fatto queste domande ad un vero e proprio esperto del mondo del vino, veneto di nascita (è di Bassano del Grappa) ma toscano d’adozione, con alle spalle numerosissime collaborazioni con cantine di ogni parte d’Italia (e anche con l’estero), il winemaker Roberto Cipresso, e a tre casi esemplari di aziende che hanno diversificato la propria produzione acquisendo tenute fuori regioni: Il Gruppo Zonin, nella voce del suo vicepresidente Domenico, anche neo presidente dell’U.Vi.Ve, il conte Paolo Marzotto, fino al 2003 presidente della holding Zignago-Santa Margherita, dalla cui passione per il vino siciliano ha voluto creare sulle colline della provincia di Palermo la Baglio di Pianetto nel 1997, e Pier Giorgio Tommasi, direttore commerciale della celebre azienda veronese Tommasi, proprietaria di due tenute in Toscana.
Roberto Cipresso
winemaker
Passione, curiosità, ricerca
gli elementi base
per diversificare la produzione
Investire in altri territori ed altri vini. E’ una strategia di mercato scelta sempre più spesso dalle aziende vinicole, ma che per quelle venete assume connotati e motivazioni particolari. Il Veneto è anzitutto una regione con terreni in cui il lavoro viticolo è difficile – per ciò che riguarda soprattutto i fattori climatici – e le possibilità di scelta sono limitate. A ciò, va poi aggiunto che gli imprenditori veneti sono personalità complesse, inquiete e frenetiche, sempre pronte a mettersi in discussione e costantemente alla ricerca di nuovi stimoli. Una volta conquistato un mercato, cercano subito di svilupparlo anche al di fuori della propria regione, per variare la produzione inserendo vini con requisiti diversi, ed ampliando così l’offerta da proporre alla propria clientela; la diversificazione dei vitigni coltivati e dei territori esplorati permette poi contemporaneamente di arricchire il proprio “know how” ed il bagaglio di esperienze, attraverso il confronto con una più grande varietà di situazioni agronomiche e di comportamenti fisiologici e produttivi da parte dei vigneti. Anche dal punto di vista economico, una variabilità negli investimenti vitivinicoli permette di tutelarsi in una certa misura dalle oscillazioni della domanda che le diverse varietà e le diverse tipologie di vino possono subire. Un tempo fare scelte di questo tipo era molto complesso. I numerosi progressi che negli ultimi decenni hanno interessato i fattori tecnici legati alla produzione e alla trasformazione hanno invece permesso di semplificare notevolmente i processi di diversificazione. Ad esempio, non è neppure necessario avere una cantina in ogni distaccamento aziendale, ma è sufficiente una unica struttura di trasformazione; l’uva può esservi condotta anche da vigneti situati a notevole distanza grazie alla possibilità di disporre di ghiaccio secco, e di impiegarlo per mantenere gli acini perfettamente integri durante il trasporto. Resta comunque la necessità di lavorare con molta passione, con curiosità, con spirito di avventura e di ricerca, nonché con una buona dose di adattabilità agli ambienti diversi, alle condizioni dei suoli e dei climi, alle regole in gioco e alla natura delle persone.
Conte Paolo Marzotto
titolare Baglio di Pianetto
Essere imprenditori significa
avere delle responsabilità
nei confronti del tessuto sociale nel quale si opera
Baglio di Pianetto nasce come una grande storia d’amore: prima ti innamori, magari per caso, poi c’è la fase di corteggiamento e poi, se è amore, arriva il matrimonio. La mia prima volta in Sicilia fu da bambino con mio padre, per cui ne ho un ricordo affettuoso. Poi ci tornai altre due volte da giovane pilota per correre il giro di Sicilia. Quando poi mi sposai con mia moglie Florence, la Sicilia fu uno dei tanti posti che le feci conoscere della nostra bella terra, ma certamente tra quelli che più la appassionarono. Cominciammo a tornarci sempre più spesso, anche per ammirarne gli straordinari capolavori della storia, che sostenevamo con il gruppo di amici dell’Arpai (Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano). Quindi, data la passione per il vino e l’esperienza maturata, quando decisi di costruirmi il mio piccolo “chateau” vinicolo, mi sembrò molto naturale unire due amori in un luogo. Che la Sicilia avesse un terroir particolarmente vocato, si sapeva da sempre, e finalmente lo si iniziava a vedere con le belle bottiglie che alcuni grandi produttori stavano dando al mercato internazionale.
Certamente l’esperienza con Santa Margherita, l’azienda fondata dalla mia famiglia, è stata molto importante per approfondire una conoscenza del settore, ma la Sicilia è stato un desiderio mio: ho fatto la scelta precisa di andare al cuore di quella terra a raccoglierne i frutti, e non, viceversa, di “travasarla” altrove. Quindi diversificazione sì, ma nel senso di esaltazione delle differenze e specificità di un territorio nella sua completezza, dall’aria, all’acqua, alle persone. Continuando infatti una tradizione di famiglia, non ho mai dimenticato che essere imprenditori significa anche avere delle responsabilità nei confronti del tessuto sociale nel quale e con il quale si opera. Comunque la parola diversificazione è stata la chiave fin dalla scelta delle tenute: quella di Pianetto (100 ettari circa in provincia di Palermo) che con i suoi 650 metri di altitudine, le sue importanti escursioni termiche (giorno-notte, estate-inverno) e il suo terreno argilloso è l’ideale per i bianchi – come gli autoctoni Insolia e Catarratto ma anche il Viognier – e per rossi che hanno bisogno di molta acqua, come il Merlot, ma anche di molto sole per ammorbidire i tannini, come il Petit Verdot. La tenuta di Baroni, invece, 60 ettari circa a pochi chilometri da Noto, è zona vocata per gli autoctoni Nero d’Avola, Moscato e Syrah. Insomma, diversificazione pedoclimatica, mare e montagna, ma anche varietale, Sicilia e Francia. Per un imprenditore la rete di persone e di servizi, è la base di appoggio, il “terroir” per costruire e sviluppare la propria impresa in altre regioni. “Esportarsi” come imprenditore è un po’ come ricominciare da capo. Ma le sfide mi hanno sempre attirato. Certo non si può negare che le differenze tra due regioni come il Veneto e la Sicilia ci siano e influiscano sul fare impresa: basti pensare che per consegnare della merce da Aosta a Reggio Calabria servono 2 giorni, mentre per consegnarla in Sicilia 1 giorno in più. Ma, come dicevo prima, se si crede nel “terroir” siciliano per un vino siciliano, allora non si può che venire qui. In conclusione, il vero vantaggio di essere qui alla fine è che il sole non lo devi andare a cercare per importarlo ma te lo trovi lì fuori dalla porta di casa, già pronto ad aiutarti a fare delle tue uve un gran vino.
Pier Giorgio Tommasi
direttore commerciale Italia Tommasi Viticoltori
Mantenere la riconoscibilità
del brand con investimenti
in aree mirate
La nostra famiglia lavora da quattro generazioni in Valpolicella, dove è stata fondata nella zona classica nel lontano 1902. Nel ’97 abbiamo acquistato un terreno di 80 ettari a cordone speronato a Pitigliano, nella Maremma toscana in provincia di Grosseto, dove produciamo quattro varietà: Alicante, Rompicollo, che è una varietà del sangiovese, Cabernet sauvignon e Vermentino. L’idea è nata dal fatto che la nostra azienda disponeva già di una solida e ben strutturata rete commerciale, forte sia in Italia ma soprattutto all’estero dove esportiamo il 70% della produzione, con un’esperienza nel mercato statunitense che dura da ben 40 anni. Vista l’importanza della Toscana nelle esportazioni vinicole, dove occupa il primo posto fra le regioni italiane, abbiamo scelto questo territorio per espandere la nostra produzione. Abbiamo fatto diversi sopralluoghi, fra Montalcino e Chianti, ma alla fine abbiano scelto la Maremma perché la riteniamo una zona in crescita e dalle forti potenzialità. La conduzione dell’azienda è fatta direttamente da noi, sfruttando anche la caratteristica della nostra famiglia, che è molto numerosa, composta da quattro genitori e 9 figli. Per mantenere la riconoscibilità del nostro brand abbiamo aggiunto una fascetta indicante “Tommasi di Toscana”. A questo nostro primo investimento in altre aree produttive, successivamente ne abbiamo avviati altri due, sempre con lo stesso obiettivo. Tre anni fa abbiamo acquisito una tenuta nella zona del Prosecco Superiore, a Miane, dove però abbiamo declassato la produzione da Docg a Doc. E sei anni fa, ancora in Toscana, abbiamo acquisito un vigneto di 8 ettari a coltivazione biologica, la tenuta Doganella, dove produciamo il Tintorosso, da sangiovese e merlot, e il Cavaliere, 90% di vermentino e chardonney. Il bilancio di questi investimenti è sicuramente positivo, anche perché siamo riusciti fortunatamente a trovare terreni in vendita, cosa già molto difficile. E’ stato comunque in investimento che ha richiesto uno sforzo non indifferente: in Maremma abbiamo dovuto sbancare quasi un’intera collina, rimettendo a posto tutto da zero. In più abbiamo aggiunto anche la disponibilità di nove camere per l’ospitalità, vista la grande attrazione che la Toscana ha sul versante enoturismo.
Domenico Zonin
vicepresidente Gruppo Zonin e presidente U.Vi.Ve.
Produrre vini
che siano espressione autentica
dell’identità del territorio
La scelta di produrre vini in tenute diverse in tutta Italia, dal Friuli, al Piemonte fino alla Sicilia, e anche una negli Stati Uniti in Virginia, ci dà l’opportunità di allargare la nostra offerta e rappresenta da sempre un punto di forza per il nostro gruppo vinicolo. Le tenute della famiglia Zonin si estendono complessivamente su oltre 4000 ettari di terreno, di cui circa 2000 coltivati a vigna. Altri 500 ettari, di cui 90 vitati, si trovano negli Stati Uniti, a Barboursville Vineyards, Virginia. Questa strategia ci permette di offrire alla nostra clientela un vasto ventaglio di vini. Rispetto a molte aziende, noi abbiamo sempre preferito controllare direttamente in zona tutti i processi produttivi, imbottigliando nelle stesse tenute di produzione. Tutti i vini prodotti dalla Casa Vinicola Zonin si ispirano a questo principio, sono rappresentativi dei singoli territori e ne custodiscono fortemente l’identità. I numerosi riconoscimenti ottenuti in questi ultimi decenni premiano la validità di questa filosofia aziendale. Si tratta di una filosofia che abbiamo sempre sposato, ossia di commercializzare con i marchi delle stesse tenute. La mano, comunque, rimane sempre quella Zonin, grazie anche all’apporto dell’enologo francese Denis Dubourdieu, già professore di Enologia all’Università di Bordeaux, che lavora con noi in tutte le nostre aziende, e al direttore tecnico Stefano Ferrante. Ma sempre nel totale rispetto dei diversi territori in cui operiamo, dello stile e della cultura dei vini, senza imporre nulla. Ad ogni modo, in ogni investimento l’aspetto importante è che il territorio deve piacere, bisogna sentirselo un po’ già proprio. Del resto la nostra azienda fu la prima in Italia a operare scelte di questo tipo, quando mio padre a metà degli anni Settanta acquistò delle vigne in Friuli e in Virginia. Siamo stati fra i primi a differenziarci, proseguendo poi con questa filosofia e facendo da esempio a un certo tipo di enologia. Certo si tratta di una strategia molto complessa e costosa, e non è sempre detto che i risultati attesi siano quelli previsti. Sono invece pochi i casi di investitori stranieri che acquistino in Veneto. La zona più appetibile, ovviamente, resta quella del Prosecco, dove hanno acquistato aziende la Henkell (Mionetto), la Schenk ed un imprenditore russo (Contarini Vini).
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