Sono la voce fuori dal coro, quella nicchia di aziende e produttori che ha scelto di operare al di là delle solite logiche associative, consortili e di mercato. I duri e puri o, come gli ha definiti qualcuno, “gli anarchici del vino”. Ma che dalla loro nascita come associazione, nel 2008, sono cresciuti di numero e di importanza, tanto da aver ottenuto due anni fa l’accreditamento presso il Ministero delle politiche Agricole in qualità di “interlocutore presso tutti i tavoli di concertazione relativi alla filiera vino”, con un ruolo attivo per la presentazione di interrogazioni e proposte su tematiche cruciali riguardanti la vita quotidiana delle imprese vitivinicole. Loro sono i Vignaioli Indipendenti, riuniti in un’associazione – la Fivi – che conta oltre 700 soci in tutti Italia e che proprio in Veneto ha una rappresentanza consistente (anche l’attuale presidente della federazione, Matilde Poggi vignaiola di Bardolino, ed uno dei due vicepresidenti, Leonildo Pieropan da Verona, sono veneti).
La storia della Fivi inizia il 17 luglio 2008, data in cui dall’iniziativa di alcuni vignaioli italiani sostenuti e incoraggiati dai colleghi francesi dei Vignerons Indèpendants, riuniti da molti anni nella Cevi (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants), si forma l’associazione con sede a Colorno. “La gestazione della Fivi in realtà è iniziata nel 2006 – spiega la presidente Matilde Poggi –, quando, leggendo il progetto per la nuova Ocm europea, i vignaioli si sono resi conto che in quel documento la loro categoria, non solo italiana ma europea, non veniva considerata. All’inizio del 2008 la Fws, Associazione dei Vignaioli Indipendenti dell’Alto Adige, venne contattata da Cevi per creare anche in Italia un gruppo che tutelasse gli interessi dei Vignaioli Indipendenti. Da quel momento era partito un veloce processo di costituzione culminato con la prima Assemblea Costituente del 17 luglio alla Reggia di Colorno (PR)”.
Quali sono gli obiettivi della FIVI? “Scopo della Federazione è quello di rappresentare la figura del vignaiolo di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e l’autenticità dei vini italiani. Questo perché spesso le grandi questioni che riguardano i piccoli produttori vengono dibattute a Bruxelles come a Roma, ed è importante che la voce dei vignaioli che più sono vicini ai territori, alla cultura e alle tradizioni del vino, arrivi fino a quanti decidono. Inoltre, la Fivi ribadisce con forza che il vino in Europa non è una “semplice” materia prima: è invece un prodotto agricolo, legato al territorio d’origine”.
NUMERI E INIZIATIVE
Attualmente FIVI conta più di 730 produttori associati in tutte le regioni italiane, per un totale di circa 7.500 ettari di vigneto, 55 milioni di bottiglie prodotte, 0,5 miliardi di euro di fatturato e un valore in esportazioni di 202 milioni di euro. Dei 7500 ettari di vigneto il 49 % viene condotto in regime biologico/biodinamico, il 10% secondo i principi della lotta integrata, il 41% secondo la viticoltura convenzionale. Numerose sono le iniziative promosse dalla Fivi in questi anni, in vari ambiti del mondo del vino, come spiega la presidente Poggi. “Ve ne sono di tecniche, ovvero legate alla coltivazione della vite e alla produzione del vino, altre invece toccano la valenza sociale dei prodotti della viticoltura. L’ultima iniziativa in ordine di tempo è la proposta di creare un ufficio centrale che decida in tema di etichette, per risolvere l’attuale insostenibile situazione di confusione nell’interpretazione delle norme. Un ufficio unico, gestito a livello centrale/regionale o presso gli enti certificatori, che controlli, verifichi e stabilisca la conformità o non conformità di un’etichetta a quanto stabilito dalle normative, e di conseguenza ne approvi o meno l’utilizzo. Fra le altre segnalo il Dossier Burocrazia, un approfondito dossier sulla complessa burocrazia che grava sul vignaiolo, con proposte puntuali per il miglioramento della situazione, il Dossier Etilometro per divulgare la cultura del bere consapevole e la posizione sulla liberalizzazione dei diritti di impianto per il mantenimento dell’attuale normativa. Inoltre, per il quarto anno consecutivo, la Fivi ha organizzato a Piacenza una Mostra Mercato dove è possibile acquistare direttamente dal produttore il vino assaggiato) denominata “Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti”. Un momento di aggregazione, incontro e dialogo fra vignaioli da tutte le regioni italiane”.
Guardando dal punto di vista del consumatore, quali sono caratteristiche peculiari dei vini prodotti da un vignaiolo indipendente che danno allo stesso un valore aggiunto rispetto ad altri vini? “Il vino del vignaiolo – spiega la presidente – è l’unico vino con una tracciabilità completa dalla vigna alla bottiglia. Il vignaiolo in prima persona coltiva i suoi vigneti, trasforma la sua uva in vino, imbottiglia il suo vino e ne cura personalmente la commercializzazione. Sono vini che hanno per questo una forte connotazione territoriale ed un legame forte con il terroir da cui provengono. Per poterli identificare abbiamo creato un logo che rappresenta in modo sintetico il percorso dalla vigna alla bottiglia”.
GLI “INDIPENDENTI” DEL VENETO
Il Veneto è sicuramente una delle regioni cardine della Federazione, come – racconta Federica Nardello, delegata di zona Soave: “La presenza dei vignaioli indipendenti in Veneto è molto buona e capillare nel territorio, considerando anche che sia il presidente che il vicepresidente dell’associazione sono veneti. Obiettivo primo è quello di fornire informazioni e di tutelare la figura del vignaiolo. Nel 2010 a Soave è nata un’associazione con una presa di posizione forte, con molte aziende uscite dal Consorzio. E nel 2012 è nata un’iniziativa simile nella Valpolicella, con una trentina di aziende, ma non uscite dal Consorzio come a Soave. Noi stiamo cercando di fare rete fra le varie associazioni di zona. Vogliamo comunicare tramite idee e progetti, anche se l’obiettivo primo è di creare un circuito dal punto di vista pratico”.
Anche, qui, come a livello nazionale, molte sono le iniziative portate avanti localmente: “Tre anni fa a abbiamo creato a Piacenza un primo salone dove proporre i nostro prodotti a livello nazionale e due anni fa abbiamo tenuto delle degustazioni qui a Soave. L’associazione di zona di Soave riporta quello che accade a livello nazionale, come ad esempio l’interrogazione sull’etichettatura. La principale richiesta di noi di Soave è quella di riconoscere la possibilità di imbottigliare il Soave classico con tappo a vite, lavorando sia sul versante Consorzio che sugli enti governativi”.
Per Federica la Fivi rappresenta una visione nuova e alternativa all’associazionismo tradizionale nel mondo del vino: “Credo che i grandi consorzi siano un po’ scollegati dalla realtà vinicola del lavoro, ma più orientati sul versante promozionale. È difficile mettere insieme realtà così diverse, che vanno dagli imbottigliatori ai produttori. La nostra, invece, è una sorta di artigianalità e sartorialità, noi facciamo vini conoscendo bene sia i terreni che l’andamento climatico. È una garanzia in più per il consumatore, perché il vino così prodotto è più riconoscibile e con maggior carattere, dato dal profondo legame con chi lo fa. E dalla visione enologica diretta dei vignaioli, dettata da un preciso codice di autoregolamentazione. Il vino che produciamo, insomma, ha davvero la nostra anima”.
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